I panni delle pecore
Ci vanno stretti i panni delle pecore. Vorremmo essere tutti pastori. O almeno dir loro come fare, ammaestrarli, istruirli, pilotarli. Parliamo della Chiesa, ma accade dappertutto. Se è difficile essere cristiani, lo è due volte essere preti, cioè pastori e guide. Riconosciamolo: ai laici tocca un mea culpa. Invece di pregare che il padrone delle messe mandi operai nei campi, perdiamo tempo a volere il prete ideale, e siccome in nessuno troveremo tutte le virtù, anzi la perfezione assoluta, ecco scatenarsi l’olimpiade pettegola. Arriva un nuovo parroco? E’ subito gara per scoprirne i difetti, cercarne i limiti, metterne in discussione l’operato. E soprattutto per dettargli i comportamenti, dirgli come fare il parroco, a chi dar retta e a chi no, come fare le omelie e non di rado cosa dire.
E naturalmente pretendiamo in essi la perfezione che sappiamo impossibile in noi stessi. Io non ce la faccio, ho i miei limiti, è umano. Ma lui, lui è un prete, lui deve essere perfetto, su misura per i nostri problemi. Deve essere allegro con chi è nella gioia, addolorato per chi soffre, deve capire, compatire, amare tutti e sempre senza tentennamenti. Se non è perfetto che prete è?
Gesù si è accontentato degli Apostoli come erano, ma noi no.
Non sarà allora colpa nostra se le vocazioni scarseggiano? Se preti giovani vanno in tilt e non ce la fanno più a tirare la carretta? Se tanti non se la sentono di fare il parroco?