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Come trovare perdono

Come trovare perdono

Il 6 agosto 1945 un bombardiere B29 degli Stati Uniti lasciava cadere on ordigno di nuova concezione sulla città nipponica di Hiroshima. 250 mila persone in un attimo sono state carbonizzate. Il pilota dell’aereo che aveva sganciato la bomba, si è volto indietro: “Mio Dio, che cosa abbiamo fatto!”.  Oppenheimer, il padre della bomba atomica, visti i risultati, si è rifiutato in seguito di proseguire gli studi per l’evoluzione dell’ordigno e per tutta la vita ne ha portato il rimorso. L’esperienza del male come qualcosa di opposto al bene non è indotta da fattori esterni, è stata vissuta dall’uomo fin dal suo apparire sulla terra, osservando se stesso e le sue fragilità intrinseche.

Noi non possediamo le regole di questo mondo, ci siamo dentro: ci troviamo a vivere in un ambiente dove agiscono delle forze ben più potenti di noi, che non siamo assolutamente in grado di controllare, forze che producono anche disastri immani sotto i nostri occhi impotenti.  Ma anche noi siamo capaci di produrre disastri spaventosi, valanghe che poi ci sfuggono di mano, incendi devastanti al di fuori di ogni controllo, e allora possiamo solo dire: “Mio Dio, che cosa abbiamo fatto!”

Non sono le religioni ad aver inventato il peccato: l’esperienza dei nostri errori privati o collettivi è immediata, “Che cosa abbiamo fatto!”.  Così come immediatamente vorremmo tornare indietro, riavvolgere il filo del tempo, ma è tutto inutile, ormai quello che è fatto è fatto.

Piuttosto, come rimediare?  Si può cercare di riparare, limitare i danni, trovare una riconciliazione?  Chi crede in qualche essere trascendente sa che una azione malvagia viene anche a turbare l’ordine delle cose, sconvolge l’armonia naturale e l’equilibrio delle relazioni umane: il male commesso resta lì, non scompare né nei suoi effetti e neppure dalla mente di chi ne è responsabile, diventa un qualcosa da rimuovere perché la vita possa riprendere come prima.

E’ qui che le religioni intervengono, non tanto a sottolineare il male compiuto, quanto piuttosto a cercare di rimettere pace nella coscienza turbata, nel ritrovare l’armonia con la natura, recuperare l’innocenza perduta, trovare un perdono.

Due strade principalmente sono state percorse dalle “pecore nere” per tornare all’ovile: la più battuta forse quella di ottenere il perdono dalla divinità, direttamente o indirettamente coinvolta, offrendo qualcosa in risarcimento, un sacrificio, un rito religioso espiatorio.  Oppure la punizione, o più spesso, l’autopunizione del colpevole fino a livelli estremi.  Per poi rendersi conto che era tutto inutile, che l’unica vera strada era ancora una terza via: riconoscere la colpa in modo profondo, senza scuse, senza giustificazioni, maturare la convinzione che il male commesso era frutto di un atteggiamento errato di fronte alla vita, al quale solo Dio poteva accordare il perdono nel segreto della coscienza.

La Penitenza è un sacramento in perenne crisi perché è il sacramento della perenne crisi dell’uomo, il momento in cui la persona mette in discussione – “crisis”- se stessa e il proprio operato, si guarda allo specchio della coscienza e inevitabilmente deve ammettere la sua insufficienza di fronte alle sfide quotidiane, la fragilità, l’egoismo.  Momento difficile perché occorre superare i muri dell’orgoglio, della vergogna, della paura.  Momento liberatorio in cui buttar fuori gli incubi, riversare su qualcuno che ci ascolta un peso di coscienza, avere un saggio consiglio, o anche solo un rispettoso silenzio.

E Dio? Dio non chiede molto: quando trovi il coraggio di scendere in te stesso e ammetti di aver violato la giustizia, riconosci la tua colpa, sei sul sentiero giusto.  La storia di questo percorso fatto dalle “pecore nere” per tornare all’ovile è il contenuto di queste tre serate.

Lilith.

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